Exit Strategy, perchè devi presentarne una al tuo investitore?

Categorie: Startup
Marzo 01, 2024
Tempo di lettura: 7 minuti

Individuare un Exit Strategy significa formulare una strategia di vendita di tutte le quote di una start up possedute da uno o più azionisti, consentendo dunque “l’uscita” dal capitale degli azionisti coinvolti.

Mentre un founder potrebbe anche avere l’intenzione di restare a dirigere la sua creatura per lungo tempo, l’exit è generalmente l'endgame a cui puntano i fondi di Venture Capital, il cui core business consiste nell’individuare e far crescere start ups dall’alto potenziale per poi venderle e realizzare un profitto e non nel mantenere in portafoglio imprese che producono dividendi.

Per correggere questa possibile divergenza di obiettivi, un founder potrebbe dunque iniziare a pensare molto presto ad un exit strategy come parte integrante della propria proposition all’investitore. Per capire l’importanza di un exit strategy è necessario innanzitutto capirne le tipologie e i principali pro e contro.

Introduzione sulle varie metodologie di exit

Esistono diverse metodologie di exit, alcune tipiche di un esito positivo della start up (ad esempio, l’acquisizione) e altre tipiche di un esito negativo (ad esempio, la liquidazione). Tralasciando questi ultimi casi meno desiderabili, in questo articolo ci concentreremo sui casi di exit positiva, che possono aiutarci ad attrarre investitori.

Le principali metodologie di exit legate ad un esito positivo della start up sono:

  • L’IPO o Initial Public Offering, che consiste nella vendita sul mercato primario (ossia per la prima volta) di azioni della start up. È la star delle exit, il sogno di tutti i founder ed in generale il tipo di exit più ricercata negli Stati Uniti, tipica degli unicorni, ed è caratterizzata da moltiplicatori particolarmente elevati. Si tratta di un tipo di exit particolarmente favorevole ai founder, sia perché rende liquide le proprie azioni, sia perché gli permette di mantenere un maggiore controllo sulla Start Up rispetto ad altre metodologie di exit, che invece portano una maggiore concentrazione di capitale su mani esterne rispetto ad un IPO, tralasciando l’elemento fama!
  • L’acquisizione è il tipo di exit più comune in Italia (212 nel 2023, contro sole 3 exit tramite IPO lo stesso anno). È generalmente caratterizzata da moltiplicatori più ridotti, e consiste nella vendita di una quota consistente del capitale, che permette all’acquirente di avere una quota di controllo della società, o anche del 100%. C’è da fare una distinzione importante in questo caso, in base alla figura dell’acquirente, a seconda che si tratti di un fondo di private equity o di una corporate. Infatti, sebbene un’acquisizione sia assolutamente da considerare un successo, va considerato che:
  • Nel caso in cui l’acquirente sia una corporate, il founder non sarebbe più la persona chiave e avrebbe un’influenza molto più ridotta nella direzione della start up, che diventerebbe di fatto una branch dell’azienda che ha comprato e si troverebbe a lavorare come dipendente, seppur come dirigente.
  • Nel caso in cui invece l’operazione sia condotta da un fondo, può capitare che venga richiesto (o quasi imposto) al founder di restare all’interno del management team, magari accostando figure con maggiore esperienza, per un certo numero di anni al fine di mantenere il know-how in azienda.

Il problema non si pone nel caso in cui la start up col tempo sia diventata relativamente indipendente dal founder o addirittura che quest’ultimo abbia venduto le sue quote. Il founder sarebbe così libero di fondare un’altra start up (a meno di clausole legate all’acquisizione che lo limitino in tal senso), stavolta con un bel gruzzolo da parte e tanta esperienza che facilitino le cose!

  • Una volta che una start up inizia a generare flussi di cassa consistenti, è possibile usarli un riacquisto di quote (Buyback). Questo approccio non è semplice da applicare, perché una start up in grado di generare ingenti flussi di cassa tende ad avere un valore superiore, e dunque il valore delle quote da acquistare risulterà esso stesso elevato. Un approccio tipico è quello di emettere debito per facilitare l’acquisto, ma questo è un approccio fattibile solo per Start Up ormai avanzate e relativamente “solide”, particolarmente in periodi di elevato costo del debito.
  • Diversi VC hanno diversi target di investimento. Archangel AdVenture, ad esempio, è specializzata in start up agli inizi (dunque in round pre-seed e seed), ma esistono altri VC specializzati in Start Up in round successivi (ad esempio Series A o B). Un exit auspicabile per un fondo di Venture Capital che opera in early stage può essere senz’altro “passare la torcia” tramite il subentro di un altro fondo (il cosiddetto “secondario”).

Ma perché è necessario presentare una strategia d’uscita?

Presentare una strategia d’uscita ad un investitore e in particolare ad un fondo di VC è importante per vari motivi.

Il più importante è che una exit strategy plausibile permette di farsi un’idea sul valore potenziale della start up. Un fondo di Venture Capital che si trova davanti una start up che non è in grado di generare abbastanza cassa per un buyback, non è in grado di accumulare valore sufficiente per giustificare un’IPO e non è in grado di trovare un acquirente che trovi utile la propria tecnologia, si trova davanti una start up con prospettive poco solide. La presenza di diverse exit strategy percorribili è dunque fortemente legata al valore stesso dell’idea e della start up, e una start up che non riuscisse a trovarne sarebbe una start up non facilmente finanziabile per un fondo.

Inoltre, la definizione di un exit da parte dello startupper fornisce un’indicazione all’investitore sulle sue capacità di visione a lungo termine e di pianificazione, skills fondamentali per fare impresa, a maggior ragione quando l’impresa in questione è appena nata e ha ancora bisogno di trovare una stabilità.

Infine, un exit strategy assicura un allineamento di interessi tra il founder e l’investitore. Un founder potrebbe essere mosso da motivazioni diverse da quelle economiche, mentre l’obiettivo di un fondo di Venture Capital è principalmente generare un profitto per i propri membri. Una exit strategy rappresenta l’obiettivo comune da perseguire.

L’importanza del contesto 

In generale, presentare scenari plausibili di exit all’investitore è sempre positivo, ma il valore di un exit "già pronta” varia in base al mercato di riferimento e allo stadio di crescita della Start Up.

In Italia, ad esempio, le IPO tendono ad essere relativamente rare e i moltiplicatori tendono ad essere relativamente contenuti, dunque si tende più a puntare ad un acquisizione. In questo caso la presenza di potenziali acquirenti interessati alla tecnologia della start up sarebbe considerato un buon segnale da parte del fondo.

Negli Stati Uniti invece, mercato caratterizzato dalla spasmodica ricerca dell’unicorno, l’IPO è spesso assunta come exit di default, e presentare un exit strategy diversa (ad esempio un’acquisizione), se da un lato porterebbe gli effetti positivi visti sopra potrebbe anche essere visto come un segno che lo startupper stesso non sia convinto di avere un unicorno tra le mani.

L’exit strategy può evolvere anche in base al grado dello sviluppo della start up. Se nelle fasi iniziali è sufficiente avere un’idea di dove andare a parare, identificando potenziali acquirenti, in fasi avanzate di sviluppo sarà necessario per una startup avere una strategia concreta, supportata da metriche ed analisi.

L’evoluzione dell’exit strategy

In effetti l’exit strategy evolve nel tempo assieme alla start up. Una start up con un forte momentum in Series B potrebbe essere ben diversa da come era stata immaginata dai founder durante il round pre-seed oltre ad avere un impatto sulla strategia decisamente più rilevante

È inoltre importante che il founder sia consapevole che un exit strategy deve (come ogni strategia) avere un certo grado di flessibilità che permetta modifiche, anche molto pesanti, al cambiamento delle circostanze. Per molti motivi infatti la startup potrebbe decidere di cambiare direzione (il cosiddetto pivot) per riorientarsi sul mercato e sconvolgere la strategia di exit elaborata fino a quel momento che probabilmente risulterebbe poco coerente con le logiche di mercato più attuali.

Conclusione

Dunque, quando parlare di exit strategy con gli investitori? In breve, più o meno sempre, ma con il dovuto grado di precisione e flessibilità dato dalle specifiche circostanze in cui si trova la start up. La presenza di una exit strategy giudicata come plausibile da un investitore è un elemento che può contribuire a convincerlo che il business della start up non sia solo buono “sulla carta”.

In generale bisogna pensare a possibili exit fin dalla nascita dell’idea, ma la strategia va sviluppata di pari passo con lo sviluppo della start up e soprattutto nelle fasi iniziali deve mantenere un alto grado di flessibilità.

Infine, sebbene presentare un exit strategy sia sicuramente utile a un fondo d’investimento, per il quale l’uscita è l’obiettivo finale, è importante per lo startupper non dare l’impressione all’investitore che il ritorno economico sia l'obiettivo preponderante. Puntare ad un ritorno economico è sicuramente una delle principali ragioni per cui fare impresa, ma creare una start up di successo da zero è un'operazione complessa che richiede molti anni, e una motivazione estrinseca come il denaro, da sola, non sempre può essere sufficiente a superare i momenti più duri senza una componente di passione per la propria idea e il proprio lavoro.