Da grande voglio fare lo startupper!

Categorie: Investitori, Startup
Gennaio 13, 2023
Tempo di lettura: 6 minuti

Quanto guadagna un founder in Italia? Quali sono le componenti retributive di un imprenditore next-gen?


Se hai deciso di dedicare i prossimi anni allo sviluppo della tua idea di business e diventare startupper al 100% è per due motivi: hai sbagliato a fare i conti delle tue spese mensili oppure credi davvero che la tua startup avrà successo.

Sembra una banalità ma molti, prima di diventare founder, hanno poco chiaro cosa significa essere imprenditori ed avviare una startup, aspettandosi spesso flussi di cassa simili a quelli che si potrebbero avere da uno stipendio da dipendenti o consulenti nella loro area di esperienza, o che ci si arrivi in tempi brevi dal momento dell’avvio della startup. Purtroppo, però, la natura dell’impresa, a maggior ragione quella delle startup, che seguono logiche molto più veloci e dinamiche di quelle che segue un imprenditore tradizionale, richiede di centellinare le risorse finanziarie a favore della crescita della società, più che dell’individuo.

Soprattutto nelle prime fasi di vita, infatti, è importantissimo spendere le proprie risorse su attività che potranno essere “assettizzate” ovvero riconosciute come un bene aziendale, che contribuisce ad incrementare il valore della startup che potrà essere riconosciuto all’esterno da investitori e stakeholder.

Come prima variabile da considerare per farsi un’idea di quanto aspettarsi da una startup nel breve termine, sicuramente c’è l’importo (o sizing) del round di investimento che la startup ha preso. Cambia molto infatti l’incidenza del costo del personale sulla cassa disponibile: se è stato chiuso un round da 150k, pagare una RAL di 25k (circa 1.400€/mese netti), significa caricare un costo per la società di circa 40k a persona ed occupare gran parte dell’utilizzo di quei fondi, lasciando poche risorse per attività, strumentazione o percorsi di crescita propedeutici al consolidamento della soluzione e del team.

Ovviamente, in base al business ed al lavoro che deve essere svolto per incrementare il valore della startup, varia la possibilità e la capacità di un’azienda di “assettizzare” il lavoro dei founder e dei dipendenti e quindi la disponibilità a pagare degli stipendi già nelle prime fasi.

Diversamente, quando la startup chiuderà un round più consistente di seed o Series A, lo spazio per gli stipendi sarà considerevolmente maggiore ma le variabili che ci suggeriscono di non portarlo subito a livelli di mercato sono ancora molte e valide.

Una di queste è sicuramente la disponibilità e l’impegno che i founder dedicano al progetto. Non è raro, infatti, anche a tutela del rischio di avvio, che i founder non siano 100% committed sulla startup e che continuino a svolgere delle attività lavorative più o meno impegnative: dalla ricerca alla consulenza ad un lavoro part-time. In questo caso ovviamente, sia per un legame diretto con il lavoro svolto, sia per una minore esigenza di sostenere delle spese personali, è meno frequente assegnare degli stipendi al team, preferendo invece delle figure esterne o non-founder che si dedicano prevalentemente alla società. Questa distinzione tra membri del team founder e non-founder è legata al possesso di quote societarie, un’altra variabile importantissima che analizzeremo.

Degna di nota è anche la frequente incompletezza del team, specie nei primi momenti di vita, che rende necessario l’inserimento di una o più figure che vanno remunerate in qualche modo: o si cede dell’equity rendendoli co-founder oppure si paga loro uno stipendio più o meno in linea con il mercato abbinando piccole porzioni di equity a complemento o delle stock option (parleremo anche di questo!).

E qui si apre lo spazio per la variabile forse più importante in questo discorso: la valorizzazione delle quote che sono in mano ai founder. Questo è l’elemento chiave per allineare gli interessi dei fondatori a quelli degli investitori che mirano al ritorno finanziario in un unico evento di liquidità. Fare lo startupper significa infatti ricercare un’exit, cioè un momento in cui qualcuno acquista la società pagando un prezzo (per alzare il quale si è lavorato negli anni orientando gran parte delle risorse finanziarie sulla società anziché sul team) a tutti i possessori di quote, investitori e founder.A differenza dell’imprenditore tradizionale, che mira ad accrescere lentamente e regolarmente il suo giro di affari e a raggiungere una solidità che gli permetta di pagarsi stipendio e dividendi, lo startupper deve spingere per raggiungere un ritorno enorme in un momento unico (cosa che gli permetterà di reinvestire o di cambiare vita!). Proprio per questo motivo, anziché essere proiettato nel breve termine a cercare di ottenere un compenso di mercato o superiore, è bene, affinché convinca investitori e partner a salire sulla sua barca, che tenga lo sguardo ben puntato verso la massimizzazione del valore delle sue quote e, quindi, di quelle di tutti i soci.

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